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I LIMITI, I VUOTI, LO SPAZIO PUBBLICO. Il caso di Buenos Aires e del complesso popolare Presidente Sarmiento.

ATA2021

Agli inizi del Novecento, nonostante non fosse presente nessuna grande città in America Latina, quest’ultima è oggi la regione più urbanizzata nel mondo in via di sviluppo. Infatti, Buenos Aires, è un esempio di capitale nel quale con i suoi 15 milioni di abitanti, vive circa il 40% della popolazione dell’Argentina.


La nascita di questa vivace città sudamericana anche in questo caso è segnata dal riconoscimento o dal tracciamento dei suoi limiti naturali ed artificiali, rappresentando la demarcazione di possesso dei coloni spagnoli sul suolo americano: il Rio de la Plata sul quale si affaccerà il porto di fondazione, il Riachuelo Matanza, che sarà il fiume dell’industrializzazione, e il reticolo urbano che definirà ogni urbanizzazione futura e dal quale verranno distinte l’area centrale (CABA) da quella metropolitana (AMBA). Il costo del suolo molto alto, l’espansione quasi incontrollata lungo La rete viaria su gomma e su ferro verso la pianura infinita della Pampa tracciano nel territorio delle perimetrazioni che negano, in molti tratti, una vera e propria relazione fisica tra le parti, che si caratterizza di conseguenza con dispersione e frammentazione urbana. I tessuti urbani sembrano non comunicare tra loro, lasciando spazi di esclusione nel quale la griglia urbana razionale e regolare produce residui e disuguaglianze. Si strutturano infatti quasi dell’enclavi realtà sociali e territoriali, caratterizzate da poca complessità urbana, da esclusioni volontarie o forzate e che dipendono dal tessuto storico originario perché spesso privi di spazi pubblici o attrezzature collettive adeguati. Da un lato i quartieri chiusi benestanti, i barrios cerrados, e dall’altro la fatiscenza delle case popolari e delle villas.

Nella città, è scomparsa la forma urbana definita e conclusa, in un confine preciso rispetto allo spazio naturale. La città si mescola tra bordi incerti e si diffonde nel territorio. Gli isolati diventano innumerevoli porzioni di suolo impermeabile che si alternano a spazi vuoti, indefiniti e inglobando aree di campagna e natura. Questi vuoti hanno carattere di inclusività, sono democratici, dal punto di vista della recezione delle differenze e la relazione tra l’uso dello spazio e la struttura sociale, influenzando le caratteristiche dello spazio a una scala più vasta. Attraverso il vuoto, è possibile avviare dunque, il recupero di un nuovo equilibrio tra città e natura, tra costruito, spazio libero e altro costruito. Questo può avvenire con la forestazione di aree periurbane e di corridoi infrastrutturali, la trasformazione in zone naturali che entrino nei vuoti. Lo spazio verde, dunque non è una sorta di accessorio urbanistico, assume il ruolo di elemento principale e strutturante del disegno della città» Il verde rende gli spazi cementati, residui e abbandonati, spazi per il pubblico, luoghi aperti in cui accogliere eventi e creare identità e ritrovo. Il recinto, il porticato, la loggia diventano dunque lo strumento che stabilisce e identifica lo spazio il modo con cui l’insediamento si presenta al mondo esterno, semiaperto e permeabile. La materializzazione di questa loggia è però provvisoria. Gli elementi possono essere sostituiti, smontati, essere transitori.



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