L’urbanizzazione totale appare inarrestabile. Sempre più persone si rivolgono alla città, attirate verso una gigantesca lampada al neon che avvolge il globo. Le immagini notturne catturate dai satelliti mostrano l’ininterrotta, intensa e luminosa tessitura urbana del mondo. Esistono però luoghi bui, luoghi che sfuggono alla luce, luoghi estranei alle dinamiche planetarie, grandi vuoti al centro di una fitta rete di rapporti. Deserti pronti ad essere nuovamente insediati.
Territori vasti e incommensurabili come quelli dell’America del Sud, spesso disabitati, si oppongono alle grandi capitali metropolitane. Luoghi che si configurano come l’ideale banco di prova per una riflessione progettuale impostata sullo spazio non-urbano. Non-urbano che trova la sua collocazione lungo la Cordigliera delle Ande, colonna vertebrale del continente, in grado sia di unire che separare i popoli di questa terra.
La campagna non sarà più vista solamente come area produttiva in funzione delle metropoli, ma spazio da reinsediare. Non più infrastrutture al servizio delle città, ma architetture in grado di rendere possibili nuove comunità, lontane, sole, autonome. Avamposti in un territorio non codificato, roccaforti per la sopravvivenza e rifugi in ambienti del conflitto tra uomo e natura.
Architetture che funzionano come macchine. Dispositivi che producono energia per coloro che li abitano e per coloro che da essi dipendono. Veri e propri organismi, capaci di modificarsi, svilupparsi ed adattarsi, in grado di durare in eterno o scomparire sepolte dallo scorrere del tempo al termine della loro utilità.
A Nord-Ovest dell’Argentina, nelle provincie settentrionali di Cuyo si attraversano le zone le più calde, secche e desolate del continente. Paesaggi antichi sono quelli che oggi costituiscono i parchi di Ischigualasto, Las Quijadas e Talampaya. L’ormai secco fiume Talampaya, ridotto ad un rigagnolo scorre in un paesaggio immenso che è il risultato dell’erosione di acqua e vento nelle varie ere geologiche. Un tempo questa regione era una piana alluvionale e l’acqua era abbondante. I numerosi fiumi hanno scavato e modellato i rilievi di questa regione, lasciando grandi canyon e colossali sculture di pietra.
Oggi però l’acqua ha lasciato queste terre ed è divenuto un bene prezioso. L’acqua, con il suo duplice volto di risorsa e minaccia, probabilmente costituisce la prima infrastruttura nella storia dell’umanità. Le civiltà del passato hanno costruito la propria ricchezza sfruttando i suoi diversi e possibili usi, ma l’uomo ha bisogno dell’acqua, prima di tutto, per la propria sopravvivenza. Anche solo la soddisfazione del bisogno primario del bere ha generato infrastrutture grandiose. In un deserto il miraggio dell’oasi è allora reso architettura. Ombra e acqua sono i prodotti di una grande copertura che costituisce l’infrastruttura per l’autonomia in un territorio inospitale. Una zona di compressione che fa percepire la presenza di un riparo, memoria del primario intento della capanna.