Archistart

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Camera del residuo collettivo

Along the River, Designing a Belvedere for the Bormida Valley

La proposta progettuale si inserisce nel quadro contemporaneo delle comunità resilienti, della transizione ecologica e dei servizi ecosistemici per la valorizzazione e la diffusione delle risorse materiali e immateriali, l’attrazione e la gestione dei flussi, l’erogazione di piattaforme utili all’innovazione culturale attraverso il progetto di architettura. Quest’ultimo, in questa sede di sperimentazione sul tema della micro-architettura, è inteso come condensatore di dinamiche culturali e sociali, capace di tessere un’intricata rete di relazioni sottese e/o inedite. Temporalità e permanenza sono i due fuochi che hanno regolato l’elaborazione del concept.


l disegno di programma sintetizza i contenuti del progetto attraverso una schematizzazione chiara dei temi indagati, i quali vengono messi in relazione attraverso l’analogia e la sovrapposizione degli stessi. Il processo, partendo da questa visione teorica e concettuale, elabora una strategia, che caratterizza la fabbrica architettonica come fenomeno vivo, le cui differenti capacità concorrono e si realizzano grazie alla compenetrabilità delle parti. Il quadro di riferimento implica una indeterminazione dello spazio che, nonostante il risultato formale finito, aspiri alla radicalità esistenziale della natura, organizzata secondo una propria dinamicità non regolamentabile dall’uomo. Quest’ultimo è ospite e spettatore di un’evoluzione diluita nel tempo, dove l’architettura diviene strumento di supporto allo sviluppo della diversità. Il concetto di residuo, secondo l’accezione di Gilles Clément, viene preso a riferimento e allo stesso tempo superato, non attraverso l’abbandono del paesaggio secondario, che verrebbe quindi restituito agli spazi primari, quanto la ricerca della possibilità di realizzare un’occasione che rappresenti l’eccellenza del territorio dalla somma dei residui dislocati. In questo senso, il progetto nobilita la volontà di mettere a sistema frammenti condivisi di una coscienza collettiva.


Il progetto, sfiorando il sito in un gesto di accostamento e non imposizione, è regolamentato da una doppia spazialità che si realizza in un interno intimo e ovattato, in contrasto con la arrampicata scenica che porta alla quinta facciata, punto di vista privilegiato sulla Val Bormida. L’interno, estremamente materico, presenta un suolo vivo e predisposto alle future piantumazioni selvatiche, modellato tridimensionalmente tramite scarti di pietra arenaria e sedute in ardesia. Quest’ultime, influenzate dagli ingressi nella propria rotazione e con altezze modulari differenti (20, 40, 60), possono essere utilizzate anche come piedistalli, per allineare lo sguardo rispetto alla foratura parametrica delle superfici perimetrali metalliche. La definizione porosa dell’involucro permette una frammentazione visiva del paesaggio, che viene così incorniciato e selezionato, giocando inoltre con la stratificazione delle ombre e delle luci, che rendono il volume cangiante. Gli unici grandi vuoti sono gli ingressi, orientati sempre a Est e Ovest, e il vuoto della corte interna, coronato da un telo opaco elastico praticabile, il quale aggiunge differente densità di luce/ombra, nonché la possibilità di stendersi su di esso e godere del ritaglio di cielo compresso nei limiti costruiti o dei cambiamenti della micro-architettura, che muta in sinergia con il suo habitat.



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