Un habitat è un luogo che soddisfa tutte le condizioni ambientali di cui un organismo ha bisogno per sopravvivere: per un animale deve fornire cibo e riparo; per una pianta la giusta combinazione di luce, aria, acqua e suolo; per gli esseri umani è l’ambiente in cui essi vivono e interagiscono, è un insediamento urbano, è una città che garantisce la qualità della vita. Questo è il concetto alla base del progetto Habitat 248.
Si è voluto progettare un luogo che potesse accogliere gli abitanti dell’attuale slum di Walkeswar nel quartiere di Malabar Hill a Mumbai, garantendo loro quelle condizioni di vita che fino ad ora gli sono state negate e che si possono riassumere in riparo, acqua corrente, autosostentamento e spazio condiviso.
L’obiettivo che il progetto ha voluto perseguire però, non è stato solo quello di ricollocare e restituire dignità agli abitanti della baraccopoli, ma anche quello di rispondere alle esigenze della città. Mumbai è infatti una città ad altissima densità abitativa, con uno sviluppo architettonico fortemente verticale che deve fare i conti con una sempre maggiore migrazione dalle campagne. La tipologia abitativa del nuovo insediamento urbano non ha potuto prescindere da questo. Partendo dunque dall’orografia del terreno, dalle emergenze architettoniche e dalla mancanza di pianificazione del promontorio di Malabar Hill, si è deciso di riorganizzare il territorio impostando una macro griglia a maglia quadrata orientata secondo le curve di livello e generata da un asse storico carrabile che connette la punta della penisola alla città di Mumbai. Il modulo della nuova griglia prende spunto dalla lunghezza della cisterna sacra del Banganga (uno dei luoghi di culto più importanti della metropoli indiana), pari a 120 m, e ha lo scopo di organizzare i vuoti sfruttando ogni interstizio presente tra l’edificato prediligendo spazi aperti e di aggregazione.
L’intento è stato dunque quello di progettare un grande complesso abitativo che interpretasse alcuni dei principi urbanistici, compositivi, architettonici e funzionali delle Unité d’Habitation di Le Corbusier, riadattandoli rispetto al presente, alla città e quei principi legati alla condivisione degli spazi collettivi. Il risultato finale è quindi un edificio in linea, lungo 360 m, alto oltre 40 m, che ospita al suo interno 248 alloggi monofamiliari per diverse classi sociali, inserito in un nuovo contesto naturale coltivato di 75 000 mq capace di garantire agli oltre 1200 abitanti di potersi sostentare attraverso una nuova economia agricola. Fondamentale in questo approccio è quindi la mixitè funzionale, una strategia progettuale finalizzata alla creazione di una rete di relazioni e legami trasversali tra aspetti funzionali, sociali e morfologici.