Il Grand Tour era un viaggio nell’Europa continentale che a partire dal XVIII secolo coinvolse i giovani aristocratici europei per perfezionare il proprio sapere, alla ricerca dell’esperienza estetica attraverso il godimento della natura e dell’arte. L’Italia era una delle destinazioni preferite da questa società agiata e colta. Se traslassimo quest’esperienza al giorno d’oggi, quei giovani vedrebbero degli scheletri di cemento non ultimati tra le colline della penisola, le rovine della nostra epoca.
La nuova Roma? Giarre, una cittadina ai piedi dell’Etna, vicino Catania, conosciuta come la “Capitale dell’Incompiuto”. 27.605 abitanti e 7 opere pubbliche incompiute.
Ma abbiamo ancora bisogno di queste architetture? Se oggi si decidesse di completare queste opere, sarebbero ancora valide le funzioni per le quali erano state progettate? Quale destino riservare a questi edifici incompiuti? Lasciare che la natura prenda il sopravvento? Demolirle? Completarle secondo il progetto originario? Aprirle al pubblico nel minor tempo possibile? Riconvertirle e riconsegnarle alla comunità?
Il lavoro di ricerca prende a prestito, come caso studio, due incompiute giarresi: il Salone polifunzionale (1982) e la Piscina regionale (1985), prefigurando alcuni scenari possibili di rifunzionalizzazione sostenibile. Questi vengono messi a confronto per la ricerca della migliore alternativa di sviluppo, e possono essere presi a modello per il recupero di una qualsiasi opera non finita, creando una sorta di manuale d’uso per le architetture incompiute. Il risultato dell’immaginario vincente consiste nella coniugazione degli aspetti che caratterizzano l’ambiente urbano e naturale di riferimento e renderli chiave di trasformazione delle due opere ad esempio, preservando la struttura, la materialità, l’estetica dell’Incompiuto.