La città di Galeata, luogo di transito di popoli sin dall’eneolitico, nasconde ancora oggi quelle che sono le tracce degli insediamenti di queste genti. In particolare emergono due siti archeologici eminenti, il teatro della città romana di Mevaniola (I sec. a. C.) e l’area del Palazzo di Teodorico (V-VI sec. d. C.). Il progetto parte dalla lettura di queste tracce, giunte fino a noi in seguito alle varie modifiche dell’azione del tempo e dell’uomo, e dal modo in cui si possa stabilire una continuità. Questo avviene tramite una rievocazione volumetrica dei manufatti, attraverso la quale il nuovo e l’antico non si toccano e dove l’edificio è il risultato della relazione tra il reperto archeologico e il paesaggio circostante.
Nel ricercare come poter garantire questo rapporto di continuità con il volume della Villa di Teodorico, ciò che maggiormente ha influenzato il progetto è il luogo. E’ da qui infatti che nascono i gesti più importanti del progetto, dal materiale da costruzione, all’immagine dell’edificio, fino al rapporto stesso con il paesaggio circostante. Non è dunque solo dal reperto archeologico che si attingono le fonti principali del progetto, ma anche dal territorio stesso, come chi è venuto prima di noi ha attinto da questi stessi luoghi per edificare questo padiglione. Il progetto si pone quindi in un momento del tempo che è paradossalmente anteriore a quello della rovina stessa, ritornando ad una ipotetica forma primordiale dell’architettura su cui si sta intervenendo, scarnificandola, per poter raccontare in maniera più immediata e chiara il volume di questo padiglione termale. Abbiamo pensato ad una struttura in legno lamellare a sbalzo sopra il lacerto murario in modo da simulare dall’esterno una sensazione di sospensione dell’edificio sulla rovina e lasciando in questo modo intoccata la rovina. In alzato, viene mantenuto il filo esterno nella ricostruzione del muro, attraverso delle grandi lame in legno di castagno inchiodate ad un sostegno collegato alla struttura lignea. Queste sono ad una certa distanza l’una rispetto all’altra, per cui lasciano passare tra di loro aria e luce, smaterializzando ulteriormente l’edificio.
Per quanto riguarda il teatro romano di Mevaniola, la scelta del materiale è ricaduta anche qui sul legno, sia per il suo ipotetico utilizzo reale nell’antichità, sia per dare all’intero complesso un forte fattore di reversibilità. Le dimensioni della cavea con gradonate di 45 cm di altezza e 60 cm di seduta, seguono quelle che il Vitruvio ci descrive nei suoi trattati. La struttura lignea inoltre da la possibilità di ottenere un edificio efficiente dal punto di vista sismico, caratteristica importante dato il rischio medio presente in tutta la vallata. Lo scheletro strutturale è composto da elementi in legno lamellare con una sezione di 15 x 15 cm, fra loro collegati per ottenere una struttura rigida e che trovano sostegno in piccoli plinti di calcestruzzo situati puntualmente agli estremi della struttura che, mediante l’uso di micropali, vanno ad ancorarsi e stabilizzarsi nel terreno più profondo e meno argilloso. L’accessibilità avviene mediante due gradonate, sempre in legno, che si impostano nel disegno della cavea in maniera conforme alle geometrie del Vitruvio. La sua evocazione e rifunzionalizzazione, oltre a determinarlo come landmark archeologico reinserito nel paesaggio, rendono il teatro di Mevaniola un nuovo polo culturale per la città di Galeata e i suoi cittadini che potranno ritornare ad usufruire di questa grande macchina teatrale dell’ otium come i loro antenati.