Riqualificare un’area come quella delle ex officine del gas a Bologna significa confrontarsi inevitabilmente con tre sistemi antitetici che vivono in maniera isolata all’interno del tessuto urbano: il centro storico, la periferia, la ferrovia. La sfida principale del progetto è stata quella di mettere a sistema questi tre mondi attraverso pochi segni, molto chiari che nascono dalla lettura delle tracce urbane esistenti. Partendo da un’area specifica, ovvero l’attuale sede dell’Hera, il progetto ha poi subito un ampliamento planimetrico quasi naturale, andando ad inglobare altri brani di città. La riqualificazione di quest’area viene messa a punto attraverso un progetto culturale, di inclusione sociale, che si apre totalmente alla città.
Il progetto, il quale occupa l'attuale area dell'Hera a Bologna (ex officine del gas), si configura come un intreccio di segni molto forti e lineari sul tessuto urbano. Quello che sembra apparentemente l’incrocio di tre elementi è in realtà un sistema urbano più ampio che connette più aree della città e che include la ferrovia, il vuoto più consistente della zona nord di Bologna. Il primo segno tracciato su carta è stato quello del ponte pedonale. Quest’ultimo nasce dalla necessità di potenziare il collegamento pedonale esistente sul Ponte Stalingrado in modo che non sia solo un attraversamento veloce, ma una promenade che si interfaccia con diversi momenti della città. A livello strutturale, questa nuovo “edificio urbano” viene sovrapposto alla struttura del ponte esistente nel fronte ovest, mentre in quello est vi si accosta, entrando così nei perimetri dell’area di progetto; questa soluzione inizia così a modificare i limiti della zona delle ex officine. L'altro segno di questa composizione, il quale si inserisce nel sistema del ponte pedonale, è il nuovo centro culturale che si inserisce nel verde del parco urbano. Dalle analisi propedeutiche al progetto, è accresciuta la convinzione di aprire l’area dell’Hera a tutta la città attraverso l’introduzione di una funzione socio-culturale, così da poter proporre in questa parte di Bologna un distretto culturale più ampio che va a includere altre aree, quali il museo Mam.BO, piazza VIII Agosto e il centro fiere.
Il nuovo Ponte Stalingrado presenta una differenziazione dei fronti, una dicotomia tra aperto e chiuso. I fronte strada sono completamente aperti, scanditi solo da una successione di pilastri posti ad un passo di 3,60m, misura ripresa dal Portico degli Alemanni. La scelta della distinzione dei fronti deriva dal fatto che essi stessi devono confrontarsi con elementi differenti; i fronte strada, quelli che affacciano sul Ponte Stalingrado, richiamano la tipologia del portico ma fungono anche da propilei, si impongono sul tessuto urbano come nuovo ingresso alla città e inquadrano Porta Mascarella, dandole un’importanza che aveva perso da più di un secolo. Nell’edificio del centro culturale viene riproposto il tema della differenziazione dei fronti, declinato diversamente rispetto al ponte pedonale. Il fronte sud è completamente chiuso, introverso al piano terra, è come se il muro della ferrovia avesse subito uno slittamento a sud e fosse diventato edificio. Al primo piano si ha la totale apertura del fronte sull’area, con una facciata continua in vetro satinato, leggera ed eterea. Nel fronte nord si ha un rovesciamento di questa logica: il piano terra è in vetro satinato ed annulla la distinzione spaziale tra esterno e interno. Con la progettazione dei due edifici si vuole incoraggiare il passaggio da centro a periferia del pedone - spettatore, il quale, grazie alla presenza di un edificio pubblico pensato per la città, diventa anche attore dello spazio urbano.